Città vetrina per Expo 2015 o case per tutti, verde e spazi sociali? Bandi o banditi a Milano? Noi abbiamo già scelto!
All’opposizione ai bandi come strumento di normalizzazione delle esperienze autorganizzate ricolleghiamo una netta opposizione a una più vasta governance dei territori. Abbiamo chiamato col nome dell’Esposizione universale del 2015 il progetto di costruzione della città vetrina che avanza giorno dopo giorno. Expo 2015 è un brand, il grande acceleratore, nel tessuto metropolitano, dei meccanismi del debito e della crisi, dell’economia del cemento e delle nocività, dello sfruttamento e della precarizzazione delle nostre esistenze. E’ il grande evento creato ad arte per drenare risorse pubbliche verso speculatori e affaristi, scaricando sulla collettività i costi della crisi e delle speculazioni. Un progetto da cui la giunta arancione non si è mai sostanzialmente smarcata, sempre riconfermando il proprio sostegno alla grande operazione bipartisan Expo 2015. Un progetto che nasconde anche la normalizzazione dello spazio urbano, riconsegnato in ogni suo angolo al profitto, monetizzato, privatizzato, cementificato, svenduto al miglior offerente. Tutto il contrario della città che vogliamo, della città che le ricche esperienze dell’autorganizzazione metropolitana costruiscono ogni giorno secondo le logiche virtuose dell’autogestione e della riappropriazione.
Gli interessi speculativi, oggi più che mai legittimati da EXPO 2015, stanno trasformando irrimediabilmente i nostri territori e i nostri quartieri; dove servirebbero alloggi a canone sociale le istituzioni rispondono puntando ancora sul mercato privato e sul cemento, favorendo la costruzione di nuova edilizia residenziale nonostante ci siano migliaia di alloggi vuoti. Crisi economica, precarizzazione del lavoro e in particolare lo strapotere della rendita fondiaria urbana erodono sempre più il nostro diritto all’abitare; fenomeni che portano a un aumento esponenziale degli sfratti per morosità, non solo per chi il lavoro lo ha perso ma anche per chi “conserva” un reddito ormai inadeguato al costo della vita e dell’affitto. La realtà è che da decenni le istituzioni hanno smesso di fare politiche abitative pubbliche; istituzioni che non sono in grado di affrontare il problema complessivo e di uscire dalla logica dell’emergenzialità del singolo caso. Per questo è tempo di mobilitarsi e agire di conseguenza, rivendicando la necessità di un tetto. In mancanza di capacità e volontà politica serve riappropriazione dal basso, solidarietà e reti sociali che affrontino le nuove forme di povertà imposte dall’austerity. La carenza cronica di abitazioni a canone sociale si può risolvere con la valorizzazione del patrimonio pubblico sfitto esistente; uno strumento può essere la pratica dell’autorecupero, che verte sullo scambio costruttivo di saperi e non di soldi, o con provvedimenti ancor più drastici come la requisizione del patrimonio privato lasciato sfitto o invenduto da anni.
Sfitti e sfratti ci fan salire il crimine!Davanti al problema dell’assegnazione dei tanti spazi comunali inutilizzati la giunta ha un’unica invariabile risposta: il bando. Se da una parte questo rappresenta un cambiamento, un’ apertura rispetto alle precedenti amministrazioni, dall’altra le modalità attuali presentano ancora forti criticità. Ad esempio la scelta di lasciare le spese di ristrutturazione dei luoghi completamente a carico di chi al bando partecipa rende proibitivo l’accesso a piccole associazioni o comitati di quartiere. La questione diventa però davvero inaccettabile quando la giunta ha pensato bene che questa panacea potesse risolvere anche il problema della legalizzazione degli spazi sociali, legalizzazione peraltro non richiesta. E’ quindi uscito un bando esplorativo “di idee” su 16 cascine comunali contenente anche Cascina Torchiera. Il messaggio è chiaro: 20 anni di autogestione, di iniziative e progetti sono per il comune irrilevanti, accomunabili a un qualsiasi spazio vuoto. E’ la conferma dell’incapacità dell’amministrazione di oltrepassare i propri schemi, di non saper immaginare un percorso di riconoscimento del valore politico, non giuridico, delle realtà sociali. Discorso che dovrebbe essere affrontato pubblicamente, coinvolgendo tutti gli attori attivi e interessati, senza fare distinzioni tra buoni e cattivi.
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